ARRIVEDERCI BERLINGUER Alessandro Rossi, Michele Mellara Pordenone Docs Festival, AAMOD, 50', 2023

La trionferà - Nell’ora segreta - Rivolta cranica - Nulla più - Nel volto - Bandiere - Nel cuore della notte - Mestizia - Dirti grazie

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La musica di Massimo Zamboni e il girato di alcuni tra i maggiori cineasti italiani: “Arrivederci, Berlinguer!” fonde questi ingredienti in un cineconcerto unico. I quasi quarant'anni dalla morte di Enrico Berlinguer, avvenuta nel 1984, sono l'occasione per ricordare la sua assenza, senza eccesso di nostalgia, e consentono di ripensare e raccontare la figura di un politico capace di parole pesate e dense, partecipato e partecipante. Produttori del film-spettacolo, per la regia di Michele Mellara e Alessandro Rossi, sono Pordenone Docs Fest, Cinemazero e l'Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, in collaborazione con Mammut Film. Sul palco, accanto a Zamboni, alla voce e chitarre, ci saranno Erik Montanari e Cristiano Roversi. 

"L'addio a Enrico Berlinguer", il film corale sui suoi funerali, realizzato all'epoca, tra gli altri, da Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Silvano Agosti, Roberto Benigni, Carlo Lizzani, Luigi Magni, Giuliano Montaldo, Ettore Scola e Gillo Pontecorvo, è stato rimontato e attualizzato, arricchito di materiali inediti, per mostrare il rapporto umano, caldo e vivo, che il politico riuscì ad avere con le masse popolari. Nella nuova versione, è un film che guarda in avanti, che non vuole celebrare ma dare spunti: per riflettere su cosa significa fare politica, viverla come comunità e in prima persona: oggi urgenza quanto mai necessaria. 

«L'umanità della figura di Berlinguer restituisce dignità, integrità e forza alla politica. Lo raccontiamo a partire dalla grande partecipazione popolare al suo funerale, - spiegano i registi. - Nel nuovo assemblaggio, a intervallare i tempi espansi della lunga cerimonia, abbiamo inserito alcuni suoi interventi che riguardano i temi che ci sembravano più vicini all'oggi: generazioni, donne, famiglia, questione morale, lavoro, e su cui ebbe parole  ancora di estrema attualità, che continuano a farci riflettere». 

Le immagini, provenienti dall'Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, sono state girate per lo più in pellicola, tra le fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Ottanta, soprattutto durante convegni e appuntamenti pubblici a cui prese parte Berlinguer. Mostrano l'uomo politico, nella sua veste istituzionale, concedendo poco al privato. Il leader viene rappresentato sempre – forse, a volte, con una dose di serietà eccessiva – nei momenti ufficiali, nell'impeto oratorio di un comizio, nell'incontro di sezione con i militanti del partito. A questi filmati, però, se ne aggiungono alcuni che lo ritraggono nella vita privata, più caldi, momenti che restituiscono, almeno in parte, l'umanità e le fragilità dell'uomo. 

Il montaggio del nuovo film, “Arrivederci, Berlinguer!”, è pensato in chiave emozionale, per coinvolgere il pubblico poggiandosi sulle composizioni musicali e la chitarra di Massimo Zamboni: la reiterazione del gesto, le folle, la commozione delle donne, dei politici, delle masse operaie, degli ultimi e dei capi di stato, i pugni alzati: tutto questo diventa sinfonia visiva e musicale allo stesso tempo.

Nella serata finale del Pordenone Docs Fest la proiezione del film di montaggio con musiche originali di Massimo Zamboni eseguite dal vivo. Quasi un’esperienza immersiva, un montaggio “emozionale". Come ripensare oggi un’eredità d’archivio audiovisivo, ma soprattutto politica, nella malconcia Italia contemporanea? A provare a rispondere all’urgenza di tali questioni ci pensano, brillantemente, Michele Mellara e Alessandro Rossi, già autori di Pascoliana e La febbre del Fare – Bologna 1945-1980 con il progetto cine-musicale Arrivederci, Berlinguer!. Co-produzione tra Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e Cinemazero, presentata in anteprima nella serata finale del Pordenone Docs Fest e che presto raggiungerà altre città, come ad esempio Roma il prossimo 6 maggio. Un film di montaggio, per usare un’antica definizione, che rielabora secondo le coordinate del found footage, il film collettivo del 1984 L’addio a Berlinguer realizzato all’epoca da innumerevoli cineasti italiani come Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Roberto Benigni, Carlo Lizzani, Luigi Magni, Giuliano Montaldo e Gillo Pontecorvo. Pellicola che, con vocazione mosaica, assemblava immagini dell’ultimo comizio di Berlinguer a Padova con le manifestazioni di piazza, e il lunghissimo cordoglio, durante i funerali del segretario generale del Partito Comunista scomparso nel giugno del 1984.

Mellara e Rossi compiono l’intelligente operazione di depotenziare la solennità celebrativa del montaggio originale per amplificare ancora di più, e “straordinariamente” in soli 50 minuti, il calore umano, la passione e l’abnegazione di una figura irripetibile della storia della politica italiana. Nel farlo, i due cineasti hanno accuratamente “sezionato” lo sterminato materiale messo a disposizione dell’AAMOD, inserendo alcuni stralci del pensiero di Berlinguer che si lega all’attualità più urgente come la questione femminile, il lavoro e i problemi morali e generazionali. Emerge così non solo la statura irraggiungibile dell’uomo e del politico ma soprattutto, nell’osservare la partecipazione delle masse popolari al suo funerale, il film diventa testimonianza e al tempo stesso j’accuse alla mutazione antropologica di un’Italia oramai sideralmente distante da una politica intesa in primis come collettività.
Quasi un’esperienza immersiva – nel flusso dei canti, delle lacrime e dei pugni chiusi – il montaggio del film, «pensato in chiave emozionale» come hanno dichiarato i registi, è accompagnato dalle splendide musiche composte da Massimo Zamboni e suonate dal vivo durante la proiezione. Un incantevole, essenziale vortice di colori e melodie appena pronunciate che diventano, in sottrazione, potentemente maestose e sublimi. E, come nel suo ultimo splendido disco 
La mia patria attuale, l’ex membro dei CCCP e C.S.I. si addentra con poesia e intelligenza sia nel cantautorato che nei territori della spoken word.
La colonna sonora del cine-concerto diventa così quasi un recitativo polifonico, con arpeggi di chitarre che ricordano le tessiture di Michael Rother, dove Zamboni – insieme a Erik Montanari e Cristiano Roversi – compone una sorta di orazione funebre in musica non solo sul corpo politico di Berlinguer ma anche sulle macerie di un Paese.

4 Aprile 2023 di Cecilia Ermini

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La sala di Cinemazero di Pordenone in silenzio al termine della proiezione di Arrivederci Berlinguer, l’impossibilità di alzarsi, il pianto confessato da tanti spettatori raccontano più di tante parole ciò che ognuno ha sentito. Ci sono istanti di commozione collettiva che spostano i confini della ragionevolezza e delle abituali modalità d’uso, escono dalla sfera privata per farsi inaspettatamente comunità. Abbandonarsi a questa sensazione è confortante, si è come assaliti dalla percezione improvvisa di ciò che si è perduto, di ciò che si potrebbe essere, e si deve tacere per darsi il tempo della ricomposizione. Quell’Italia rappresentata sullo schermo, i volti di quel popolo che piange, le lacrime su quelle guance di lavoratori, a tutt’altro avvezze, si mescolano ai segni autentici di una vita di fatiche, alle ferite delle persecuzioni, a speranze che sembra impossibile aver dovuto abbandonare. Quella folla incalcolabile, vertiginosa che aveva invaso Roma durante il funerale di Berlinguer chiama i presenti di oggi non soltanto a un esercizio di memoria ma quasi obbliga a pensare, a pensarsi, a considerare il valore delle nostre vite nel rapporto con le altre. Quel colore desueto, eccessivo, il rosso delle bandiere cui viene affidato il richiamo simbolico dell’emancipazione e del riscatto nel momento della desolazione e del dolore; quella selva di pugni chiusi, codificato segno di forza e di unità, che in quell’occasione sembrano voler alludere alla necessità di trattenere, al non lasciare andare via, ci colpiscono oggi per la loro antichità. Con stupore, più che con nostalgia. La grande mutazione plastificata degli ultimi decenni ancora sembra non avere avuto luogo nelle immagini di allora, che portano in scena l’antropologia perduta dei padri e delle madri. La sensazione di un mondo migliore, più onesto e intelligente, non necessariamente comunista. Quanti segni della croce nella partecipazione alla sua scomparsa del segretario del più grande partito comunista d'occidente: la commozione di tutto un Paese che si manifesta non con esequie composte, adeguate al ruolo dirigenziale, ma a un intenerimento collettivo, popolare, nazionale. Un uomo amatissimo è caduto, e sentire gli anziani chiamarlo “padre” mette un brivido. Quel leader è parso differente da tutti. La sua sobrietà e serietà oggi sono luoghi comuni per chi lo raffigura, ma allora non lo erano. La sua non appariscenza lo ha reso ineguagliabile in un mondo di figurine di cartone, al pari di pochi altri nella storia recente del nostro paese; forse al solo presidente Sandro Pertini, o per altre vie a Karol Wojtyla.

 

 

 

 E se gli ultimi istanti della nostra vita raccontano ciò che siamo stati, non possiamo non ricordare le urla – quasi le implorazioni - al comizio definitivo di Padova da parte quei militanti che stavano presagendo ciò che sarebbe avvenuto. “Basta, Enrico”. “Basta”. Le immagini di quegli attimi sono inaffrontabili nel loro carattere inarrestabile. Viene da urlare “Basta” a nostra volta, a quarant’anni da allora. Berlinguer cade sul lavoro, crollato per troppa generosità, in spregio all’idea di risparmiarsi. Questo tutti lo intendono, Berlinguer ha tenuto fede fino alla fine alla missione cui si era consegnato, senza infingimenti, senza calcolo, senza riserve. E le lacrime di allora a Roma, di oggi a Pordenone forse restano l'unico appiglio emotivo cui aggrapparsi per attribuire un suono dignitoso alla parola Politica.