ARCHIVIO SOVVERSIVI I sovversivi della Val d'Enza Piergiorgio Casotti ARCI RE 2022

Archivio sovversivi

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Sintesi del progetto

Archivio sovversivi mette in scena una pagina tra le meno indagate del 1900, ovvero l’istituzione di una catena di spionaggio e di denuncia capillari contro chiunque si fosse espresso in toni non entusiastici nei confronti del regime fascista. Ispirato da una ricerca nel casellario politico ad opera dello storico Franco Piccinini, centro del progetto è una piccola porzione di territorio nella provincia di Reggio Emilia, la Val d’Enza, dove i sovversivi indagati sono un numero molto rilevante, circa 400 persone; un microcosmo capace di rappresentare in scala ridotta il clima di intimidazione che percorreva l’intero paese. Una frase, un dubbio, una battuta erano sufficienti per essere schedati e seguiti per anni, cumulando le accuse in dossier impressionanti per la loro sistematicità. L’intento del progetto non è tanto mostrare l’evidenza storica di quanto enunciato, piuttosto quello di rievocare, grazie alla produzione di un filmato installativo di una ventina di minuti di durata, opera del regista Piergiorgio Casotti, la serialità di questo operare poliziesco. Dove i volti degli indagati si susseguono tra loro, mescolandosi a elementi di paesaggio e luoghi di memoria, accompagnati da didascalie che utilizzano il lessico burocratico per mostrarne la crudezza espressiva, da una colonna sonora musicale appositamente composta, da una narrazione letteraria che trae le sue parole da due opere dello scrittore reggiano Massimo Zamboni, “L’eco di uno sparo” e “La trionferà”.

 

Valorizzazione luoghi della memoria

Archivi sovversivi è un viaggio nella memoria locale, dove i volti stessi degli indagati diventano luogo, per la loro antropologia evidentemente contadina e novecentesca; simili a un paesaggio che già di per sé è memoria: case coloniche, ferrovie, edifici dismessi, coltivazioni; tutti possibili luoghi di cospirazione.

I sovversivi della Val d'Enza

Tra il 1920 e i l1940 nella sola Val d'Enza (RE) trecentoquindici abitanti vengono schedati dal Casellario Politico Centrale come oppositori del fascismo. Accanto ai militanti più politicizzati, una fitta rete di spionaggio individua i disfattisti, i renitenti, i dubbiosi, i lavativi, segnalandoli com elementi pericolosi. Una mormorazione sovversiva che presto diventerà voce e infine urlo.

Da una delle pagine di storia meno indagate del '900 nasce Archivio sovversivi, con le immagini del regista Piergiorgio Casotti e i testi, la colonna sonora e la narrazione letteraria a cura di Massimo Zamboni. Una video installazione in arrivo a gennaio 2022.

Un progetto di Arci Reggio Emilia finanziato dalla Regione Emilia-Romagna (LR 3/2016), ispirato dalla ricerca dello storico Franco Piccinini “Sovversivi, antifascisti e ribelli della Val d’Enza nel casellario politico centrale”, TM Edizioni, 2021.

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LA PARTE MIGLIORE

Guardo i nomi, i volti, le imputazioni a carico di questi Sovversivi e la prima sensazione che provo è la riconoscenza verso questa regione insofferente che si chiama Emilia, capace di generare passioni fuori controllo scaturite da un coraggio quasi inconsapevole, impulsivo, nato dalla terra, uguale alla terra. Più di trecento sorvegliati nella sola Val d’Enza, una piccola porzione di provincia reggiana: già il numero e la loro successione danno la misura di quella che era stata definita dal regime fascista una mormorazione sovversiva. Un’opposizione non conclamata nella maggior parte dei casi, piuttosto un bisbiglio, una tessitura sotterranea che non sempre ha il carattere di una piena consapevolezza politica o di parte, ma può essere causata da un fastidio personale, un’irritazione, l’impossibilità di subire le grida della propaganda. Una frase che scappa davanti al banco dell’osteria – Al Duce l’è un lasaroun! Il Duce è un lazzarone, un poco di buono - uno sbotto di impazienza, un segnale di sfiducia e scatta la rappresaglia. Una fitta rete di spionaggio e di informatori – dispiace dirlo: dello stesso sangue dei sovversivi – prende nota. Da lì in avanti si verrà incasellati in larga compagnia nel Casellario Politico Generale, l’anagrafe dei soggetti ritenuti pericolosi per l’ordinamento del sistema fascista. Sono obiettivi di minor conto quelli da perseguire con tenacia per impedire il diffondersi della malattia oppositiva. Non tanto l’intera e incontrollabile massa che da queste parti ha inciso in sé da decenni un animo socialista o comunista; ma i lavativi, i disfattisti, i singoli che non si prestano al gioco generale. Verso di loro, ingiurie, pressioni, obblighi, fino a una violenza più esplicita. I capi d’accusa variano di grado, molti di loro passano per francamente risibili agli occhi odierni - sappiamo di cittadini cui è vietato recarsi dal barbiere in presenza di altri clienti, altri cui è proibito l’uso dell’ombrello in caso di pioggia, di camminare sul marciapiede – e la descrizione dei crimini compiuta in quel linguaggio ufficiale che si autoproclama autorevole ci indurrebbe a ritenere gonfio e incapace di altro l’intero apparato preposto al controllo. Non è così, lo sappiamo, e la scatenazione di violenza che si abbatte sui colpevoli per fiaccarli ha il carattere dello stillicidio esasperante. La persecuzione porta con sé quattro gradi progressivi di esclusione: diffida, ammonizione, confino, carcere. Parte dei perseguitati dovrà rifugiarsi oltre confine per mettersi in salvo, e le autorità fasciste chiederanno per loro il «ferro freddo di una lama», augurandosi che la «mano benedetta di un santo trovi all’estero la maniera di chiudere la più vergognosa bottega di tradimento». Ma che coraggio occorreva in quei tempi per appendere ai fili elettrici di Villa Cadè due bandiere rosse, con l’emblema della falce e martello e la scritta ingiuriosa che reclama pane e lavoro? O fare come Bassi Giovanni, che palesa sentimenti comunisti e preferisce soltanto la compagnia di individui della stessa fede? O Bertani Lino fu Carlo, che metteva in circolazione libri di contenuto bolscevico? Due esempi estratti tra i tanti, una manna per il tornaconto degli informatori, che possono esibire la loro fedeltà al regime sperando in una giusta ricompensa. Pregiomi riferire a codesto onorevole Ministero di avere ascoltato nascostamente centinaia di frasi fuori controllo, inconsulte, imbarazzanti; e non c’è modo di tenerle sopite, quelle voci che sembrano impermeabili al lavorìo della propaganda. A scorrere il Libro dei controllati viene di sentirsi vicini ai volti popolari di quegli uomini e donne che appaiono in sequenza: quasi tutti contadini o artigiani, antichi, indocili. Sanno che cosa è il mondo attorno a loro, sembrano non temerlo, incapaci come sono di calcolo o di prudenza. Vengono esposti di fronte, di profilo destro, di profilo sinistro. Se il Ministero guarda a queste inquadrature con timore e astio, noi le guardiamo assumendoli a genitori putativi della parte migliore in questa terra.